Sentenza nº 313 da Constitutional Court (Italy), 05 Luglio 1996

RelatoreCesare Ruperto
Data di Resoluzione05 Luglio 1996
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 313

ANNO 1996

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Avv. Mauro FERRI Presidente

- Prof. Luigi MENGONI giudice

- Prof. Enzo CHELI "

- Dott. Renato GRANATA "

- Prof. Giuliano VASSALLI "

- Prof. Francesco GUIZZI "

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Cesare RUPERTO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera b) [recte: lettera a)], della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza statale), 2, commi 2 e 4, 12, commi 2 e 4, 16, 17 e 20, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1995 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Fidei Giacomo ed altri contro il Presidente del Consiglio dei ministri, iscritta al n. 286 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di costituzione di Fidei Giacomo ed altri nonché gli atti di intervento della C.G.I.L. - Confederazione generale italiana del lavoro -, della C.I.S.L. - Confederazione italiana sindacato lavoratori - e della U.I.L. - Confederazione unione italiana del lavoro - e del Presidente del Consiglio di ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 giugno 1996 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino e Massimo Luciani per Fidei Giacomo ed altri, Sandro M. Carucci, Massimo D'Antona e Luigi Fiorillo per la C.G.I.L. - C.I.S.L. - U.I.L. e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. -- Nel corso di un giudizio in cui i ricorrenti - tutti primi dirigenti o dirigenti superiori dell'amministrazione centrale e periferica della Pubblica Istruzione - avevano richiesto l'annullamento della circolare 4 marzo 1993 n. 6/1993 della Presidenza del Consiglio dei ministri (concernente indirizzi per la fase di prima applicazione della nuova disciplina della dirigenza), il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza emessa il 5 luglio 1995, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera b) [recte: a)] della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza statale) nonché degli artt. 2, commi 2 e 4, 12, commi 2 e 4, 16, 17 e 20, comma 1, del d.P.R. (recte: decreto legislativo) 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).

    Premette il rimettente, in punto di rilevanza, che l'impugnata circolare reca alcune disposizioni circa l'immediata applicabilità del decreto legislativo n. 29 del 1993, idonee ad innovare lo stato giuridico dei dirigenti dello Stato, in particolare condizionandone complessivamente l'attività quanto alla organizzazione ed all'esercizio delle funzioni; per cui il Tribunale amministrativo regionale non potrebbe pronunciarsi sulla legittimità della circolare stessa, se non tenendo conto delle norme oggetto della censura.

    Nel merito osserva il giudice a quo come, con l'art. 2 della legge n. 421 del 1992, il governo sia stato delegato al riordino del settore pubblico, mediante la prevista riconduzione alla disciplina dettata dal codice civile dei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti, mantenendosi nel contempo la vigente disciplina del rapporto d'impiego solo per alcune categorie di personale quali i magistrati, gli avvocati e procuratori dello Stato, i militari, il personale delle forze di polizia, delle carriere diplomatiche e prefettizie, nonché i "dirigenti generali ed equiparati", cui ne sono state successivamente aggiunte altre dal decreto legislativo n. 29 del 1993 attuativo della menzionata legge delega.

    Secondo il Tribunale amministrativo regionale rimettente, l'art. 97 Cost. - col demandare alla legge la definizione delle sfere di competenza, delle attribuzioni e delle responsabilità dei funzionari - garantisce tanto l'autonomia di questi ultimi, quanto l'imparzialità della amministrazione poiché, creando in favore dei funzionari stessi una sfera di attribuzioni di cui essi sono personalmente responsabili in tutta autonomia, pone la loro azione al riparo dalle "esigenze contingenti degl'indirizzi politici di una maggioranza espressione degli organi di governo". Con tali premesse, al giudice a quo non pare conciliabile la privatizzazione dei dirigenti diversi dai dirigenti generali, soprattutto in ragione del permanere, anzi dell'ampliarsi, dei loro poteri di rilevanza esterna e perciò di natura pubblicistica. In particolare, un regime di recedibilità caratterizzato dal venir meno del rapporto di fiducia potrebbe rivelarsi pregiudizievole per l'indipendenza di giudizio dei dirigenti, posto che, in àmbito privatistico, il dirigente è colui che si sostituisce al datore di lavoro in alcune scelte decisionali. Altrettanto potrebbe argomentarsi con riguardo all'affidamento a nuclei di valutazione, anche esterni all'amministrazione, della verifica dei risultati ottenuti. Le ampie attribuzioni assegnate ai dirigenti, strumentali ad una puntuale soddisfazione dei pubblici interessi, non sarebbero insomma garantite dall'inserimento del rapporto nella contrattazione collettiva di diritto comune con la conseguente perdita della "forte stabilità del rapporto d'impiego".

    Il Tribunale amministrativo regionale osserva poi, con riguardo all'art. 3 Cost., che la differenziazione tra le due categorie, attesa l'unitarietà della dirigenza, appare irragionevole ed arbitraria. Unica è infatti la responsabilità dirigenziale della gestione e dei relativi risultati (ex art. 3, comma 2, del decreto legislativo n. 29 del 1993) ed unico è l'albo dei dirigenti. La diversità di compiti affidati ai dirigenti generali esprimerebbe soltanto una necessaria "articolazione" dell'unica carriera in due livelli, di cui solo uno apicale, ma non potrebbe giustificare una radicale differenziazione di stato giuridico.

    Il rimettente si richiama quindi al principio di ragionevolezza, osservando che se le garanzie implicate nel rapporto di pubblico impiego sono state ritenute necessarie per i dirigenti generali, a fortiori esse avrebbero dovuto essere assicurate anche agli altri dirigenti, "in quanto le possibilità di condizionamento su di essi da parte del potere politico sono ancora maggiori".

    Il giudice a quo individua infine un ulteriore profilo di violazione del principio d'eguaglianza, in confronto con l'esclusione...

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