Sentenza nº 317 da Constitutional Court (Italy), 05 Gennaio 1996

RelatoreValerio Onida
Data di Resoluzione05 Gennaio 1996
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 317

ANNO 1996

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Avv. Mauro FERRI Presidente

- Prof. Luigi MENGONI Giudice

- Prof. Enzo CHELI "

- Dott. Renato GRANATA "

- Prof. Giuliano VASSALLI "

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Cesare RUPERTO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), promosso con ordinanza emessa l'11 luglio 1995 dal Pretore di Rovigo nel procedimento penale a carico di Zuolo Alberto Sante, iscritta al n. 691 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento penale a carico di un imputato per la contravvenzione di cui all'art. 21 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, ove si punisce "chiunque in violazione delle norme" dello stesso decreto "fornisce al consumo umano acque che non presentano i requisiti di qualità" previsti nell'allegato I al decreto medesimo, il Pretore di Rovigo, con ordinanza emessa l'11 luglio 1995 e pervenuta a questa Corte il 25 settembre 1995, ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 11 della Costituzione, dell'art. 26, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), in quanto esso limita la applicabilità al responsabile della gestione dell'acquedotto delle sanzioni previste dal predetto art. 21 del d.P.R. n. 236 del 1988 al solo caso in cui questi, dopo la comunicazione dell'esito delle analisi sulla qualità delle acque, non abbia tempestivamente adottato le misure idonee ad adeguare la qualità dell'acqua o a prevenire il consumo o l'erogazione di acqua non idonea.

Osserva il remittente che la norma impugnata esclude univocamente che i gestori degli acquedotti possano essere destinatari delle sanzioni di cui all'art. 21 d.P.R. n. 236 del 1988 fuori dalle condizioni espressamente previste dall'art. 26 della legge n. 36 del 1994, dando luogo così non più ad un reato concorrente con quello già previsto dalla norma del 1988, ma ad una ipotesi sanzionatoria autonoma, alternativa a quella di cui al predetto art. 21, e unicamente applicabile ai gestori degli acquedotti.

Ora, poiché nella specie il reato contestato era stato commesso nel vigore dell'art. 21 del d.P.R. n. 236 del 1988 ma prima dell'entrata in vigore della legge n. 36 del 1994, l'art. 26 di quest'ultima dovrebbe trovare applicazione come norma sopravvenuta più favorevole al reo, sia che si costruisca la nuova fattispecie come reato autonomo sia che la si configuri come diretta ad introdurre una nuova condizione di punibilità per il reato previsto e punito dalla norma del 1988.

Così motivata la rilevanza della questione, il remittente osserva che ad essa nella specie non potrebbe fare ostacolo il principio di legalità e di irretroattività dei reati e delle pene, in quanto la caducazione della norma più favorevole produrrebbe l'applicabilità della norma incriminatrice vigente...

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