Sentenza nº 500 da Constitutional Court (Italy), 31 Dicembre 1993

RelatoreFernando Santosuosso
Data di Resoluzione31 Dicembre 1993
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 500

ANNO 1993

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 15 della legge 11 agosto 1991, n. 266 (Legge-quadro sul volontariato), promossi con ordinanze emesse il 12 novembre 1992 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio ed il 4 novembre 1992 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale amministrativo regionale della Toscana, iscritte ai nn. 229, 383 e 448 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, nn.22, 29 e 36, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di costituzione della Fondazione Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, dell'Ente Cassa di Risparmio di Pisa, dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, del CODACONS nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 novembre 1993 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi l'avv. Giuseppe F. Ferrari per la Fondazione Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, gli avvocati Alberto Predieri e Carlo Mezzanotte per l'Ente Cassa di Risparmio di Pisa, gli avvocati Fabio Merusi e Carlo Mezzanotte per l'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, gli avvocati Carlo Rienzi e Giuseppe Lo Mastro per il CODACONS e l'Avvocato dello Stato Antonino Freni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l.l. Nel giudizio promosso con tre ricorsi proposti dall'AUSER (Associazione autogestione servizi e solidarietà nazionale), dalla Ca.ri.p.lo. e dal CODACONS nei confronti del Ministero del tesoro e del Dipartimento degli affari sociali, nonchè della Regione Lazio, del Comune di Roma e del CODACONS per l'annullamento del decreto del Ministro del tesoro 21 novembre 1991, relativo alle modalità per la costituzione di fondi speciali per il volontariato presso le regioni, nonchè degli atti connessi, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I ter, con ordinanza emessa il 12 novembre 1992, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 della legge 11 agosto 1991, n. 266 (Legge - quadro sul volontariato), in riferimento agli artt. 3, 41 e 53 della Costituzione.

Osserva il giudice rimettente che gli enti creditizi istituiti in enti pubblici, tra i quali le Casse di risparmio, sono da tempo obbligati a devolvere una parte dei propri utili ad attività di beneficenza o comunque di pubblica utilità in forza dell'art. 35, terzo comma, del regio decreto 25 aprile 1929, n. 967.

La legittimità di tale disposizione è rinvenuta da detto giudice con riferimento a tre motivi:

a)il fatto che l'utile di un ente pubblico, anche se determinatosi nell'ambito di una serie di operazioni di mercato, meglio non poteva essere adoperato che a partecipare agli oneri di carattere sociale;

b) una situazione del settore bancario che mai aveva messo in discussione la posizione di più che stabile sicurezza degli istituti di credito enti pubblici rispetto alla concorrenza interna ed internazionale;

c) il rilievo che la destinazione degli utili alla beneficenza e alle attività di utilità pubblica si realizzava comunque nella libertà per gli stessi di scegliere in concreto come impegnare tali fondi, così da garantire all'istituto di credito la possibilità di una destinazione che procurasse "un ritorno in immagine" in gran parte remunerativo del denaro speso.

Sulla base di tali considerazioni, il sistema poteva considerarsi, a parere del giudice a quo, pienamente legittimo, in quanto, in fondo, la forzata utilizzazione in alcuni campi di parte degli utili non si tramutava in un prelievo coattivo ma soltanto in un indirizzo di campo operativo.

A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 15 della legge 11 agosto 1991, n.266, risulterebbe travolto il principio-cardine del precedente sistema, essendo stata eliminata la scelta delle iniziative da parte dei soggetti che erogavano concretamente le contribuzioni, e l'ente di credito di diritto pubblico verrebbe a trovarsi nella posizione di un soggetto a cui è prelevata una parte dei propri guadagni per essere consegnata ad altri soggetti e da questi gestita. Della enorme differenza tra i due sistemi si sarebbe reso conto, a parere del giudice a quo, lo stesso Ministero del tesoro, come proverebbe il tentativo di mitigare il rigore legislativo di cui sarebbero espressione alcune disposizioni del decreto ministeriale 21 novembre 199l.

Il sistema delineato dall'art. 15 della legge n. 266 del 1991 risulterebbe pertanto incostituzionale con riferimento:

- all'art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento che si verrebbe a determinare tra istituti di credito tenuti alla contribuzione rispetto a quelli non tenuti alla stessa, con la connessa impossibilità per i primi di apprestare un autofinanziamento in egual misura rispetto a quello che può essere apprestato dai secondi, e ciò senza neppure la possibilità, esistente nel vecchio sistema giuridico, di dare luogo a possibili scelte circa la utilizzazione dei fondi vincolati, in modo da poterne trarre beneficio alternativo;

- all'art. 41 della Costituzione, in quanto, se pure è vero che le casse di risparmio e gli altri enti creditizi similari sono enti pubblici, è pur vero che gli stessi operano in un sistema di mercato, nell'ambito del quale hanno a che fare con una concorrenza interna, comunitaria e internazionale particolarmente agguerrita. In tale contesto, l'introduzione di un vincolo di destinazione di utili soltanto ad una categoria di operatori del settore, senza alcuna possibilità di scelta circa la loro utilizzazione, determinerebbe una inammissibile intrusione dei poteri pubblici nelle scelte operative dell'imprenditore;

- all'art. 53 della Costituzione nella parte in cui la disposizione impugnata opera un prelievo sugli utili di esercizio senza avere individuato un meccanismo per verificare se tali utili di esercizio non siano un reddito fittizio, destinato alla copertura di perdite pregresse, alla predisposizione di fondi per colmare perdite future, o, soprattutto, destinato ad una politica di autofinanziamento al fine di poter competere nel migliore dei modi con la concorrenza in atto.

Inoltre, trattandosi di un prelievo non generalizzato, ma limitato ad alcuni contribuenti, esso non può essere considerato alla stregua di un'imposta, bensì di un contributo, per il quale però occorrerebbe la individuazione di quale utilità ne viene ai contribuenti e qual è il meccanismo relazionale tra l'attività pubblica e i singoli contributi.

l.2. Si è costituito il CODACONS (Coordinamento delle Associazioni per la Difesa dell'Ambiente e dei diritti degli Utenti e Consumatori), chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

l.3. Si è costituita la Fondazione Cassa di risparmio delle Provincie lombarde, concludendo per l'accoglimento della questione.

A sostegno di tale conclusione, la parte sostiene, in primo luogo, l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 della legge n. 266 del 1991 per contrasto con il canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, sia nel senso che appaiono ingiustificatamente equiparati enti assai diversi tra loro sia sul piano genetico sia su quello del rapporto con la finanza pubblica, sia nel senso che sono ingiustificatamente esclusi soggetti caratterizzati da numerosi elementi di analogia, per quanto attiene alla correlazione con la finanza statale, con quelli soggetti all'art. 15.

Tale irragionevole trattamento si qualificherebbe contestualmente anche come violazione dell'art. 97 della Costituzione sia per violazione del precetto di imparzialità e buon andamento, sia anche per la lesione della autonomia organizzativo- finanziaria di enti non qualificabili come statali.

Qualora si ritenesse non fondata detta questione, la disposizione impugnata risulterebbe contrastante con gli artt. 3 e 53 della Costituzione sotto il profilo dell'assoggettamento ad imposizione fiscale dei soli enti creditizi e non di altri soggetti in qualche modo assimilabili, senza alcuna correlazione alla loro capacità contributiva. Ciò in quanto il prelievo viene congegnato in assenza di qualunque criterio di progressività correlato ai profitti da realizzare ad opera del soggetto titolare della partecipazione azionaria nell'impresa bancaria; ed inoltre in quanto l'aliquota piatta del prelievo avrebbe il significato di pretermettere intenzionalmente qualsiasi indagine intorno alle modalità di determinazione dell'utile. Il che avrebbe anche un'irragionevole incidenza sull'assetto imprenditoriale dell'azienda bancaria (con violazione quindi degli artt. 3 e 41 della Costituzione), e sulla capacità dell'ente conferente di perseguire le proprie finalità, pur legislativamente prefigurate e definite di interesse pubblico (con violazione quindi degli artt. 3 e 97 della Costituzione). Gli enti verrebbero per tale via ad essere pregiudicati nella loro capacità di autoorganizzazione statutaria, con conseguente violazione della relativa sfera di autonomia.

Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione sussisterebbe poi, secondo il soggetto interveniente, sotto il profilo dell'irragionevole carenza di rapporto, sul piano territoriale, tra settore bancario e volontariato, essendo il primo distribuito sul territorio in base a ragioni storiche e non certo a criteri funzionali, mentre il legislatore ha utilizzato il livello regionale come ambito di riferimento e distribuzione dei fondi.

Quanto alla violazione dell'art. 41 essa può altrimenti prospettarsi, a parere della CA.RI.P.LO., quale lesione degli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, sotto il profilo della indebita...

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