Sentenza nº 1 da Constitutional Court (Italy), 19 Gennaio 1987

RelatoreUgo Spagnoli
Data di Resoluzione19 Gennaio 1987
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 1

ANNO 1987

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente:

prof. Antonio LA PERGOLA;

Giudici:

prof. Virgilio ANDRIOLI,

prof. Giuseppe FERRARI,

dott. Francesco SAJA,

prof. Giovanni CONSO,

prof. Ettore GALLO,

prof. Giuseppe BORZELLINO,

dott. Francesco GRECO,

prof. Renato DELL'ANDRO,

prof. Gabriele PESCATORE,

avv. Ugo SPAGNOLI,

prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

prof. Antonio BALDASSARRE,

Prof. Vincenzo CAIANIELLO;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 10 legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) e della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 29 maggio 1980 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra INAM e Smiriglia Giuseppe ed altro iscritta al n. 721 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 325 dell'anno 1980;

2) ordinanza emessa il 19 marzo 1981 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Foresti Franco e la ditta Angst e Pfister S.p.A ed altro iscritta al n. 676 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa il 19 ottobre 1983 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Ierardi Vittorio e S.p.A Italtel Montaggi ed altra iscritta al n. 151 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 197 dell'anno 1984;

4) ordinanza emessa il 17 gennaio 1985 dal Pretore di Latina nel procedimento civile vertente tra Bruognolo Franco e l'INAM iscritta al n. 549 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1986;

Visti gli atti di costituzione di Foresti Franco, di Ierardi Vittorio, dell'INPS;

Udito nell'udienza pubblica del 28 ottobre 1986 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

Uditi l'Avv. Franco Agostini per Foresti Franco, Ierardi Vittorio e l'Avv. Vito Lipari per l'INPS;

Ritenuto in fatto

  1. - Con ricorso ex art. 700 c.p.c., Smiraglia Giuseppe, nella sua qualità di unico genitore del minore Davide, nato contemporaneamente alla morte della madre, chiedeva al Pretore di Milano di ordinare all'I.N.A.M., in via d'urgenza, la corresponsione al ricorrente dell'indennità prevista dall'art. 15, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, in relazione al periodo di astensione obbligatoria dal lavoro di cui all'art. 4, lett. c), della stessa legge.

    L'adìto Pretore accoglieva la domanda ordinando all'I.N.A.M. di provvedere all'immediata erogazione della indennità. Il provvedimento veniva poi integralmente confermato a seguito del successivo procedimento di merito avendo il Pretore ritenuto applicabili, in via estensiva, le norme di cui agli artt. 4 e 15 l. n. 1204 del 1971 e 6 l. n. 903 del 1977.

    1.1. - Proposto gravame avverso tale decisione, nel corso del giudizio di appello, il Tribunale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost., dell'art. 4 legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e dell'art. 6 legge 9 dicembre 1977, n. 903 "nella parte in cui non prevedono che la tutela, mediante astensione dal lavoro, dettata per le lavoratrici madri (naturali o adottive) e per i figli delle stesse, entro i primi tre mesi di vita, non possa estendersi anche ai padri lavoratori ed ai figli degli stessi, entro lo stesso periodo, allorché venga a mancare, per morte o per qualsivoglia altro motivo, l'assistenza della madre".

    Premesso che il contrasto tra le norme impugnate e i principi e precetti sanciti dalle indicate norme costituzionali é evidenziato "oltre che dall'astratta comparazione delle predette disposizioni dall'ingiusta soluzione che si dovrebbe dare al caso di specie ove si dovessero ad esso applicare le risultanze cui conduce l'interpretazione letterale della normativa vigente in materia di astensione dal lavoro post partum", il giudice a quo rileva che, anzitutto, il principio di eguaglianza non apparirebbe pienamente e compiutamente realizzato "nel caso in esame né per quel che riguarda il genitore né per quel che riguarda il neonato". Ed avendo come parametro di raffronto il solo precetto espresso dall'art. 3 Cost., il Tribunale si duole del fatto che, nei riguardi del figlio, il decesso della madre immediatamente dopo il parto, opererebbe "oltre che un irrimediabile pregiudizio immediato, una altrettanto repentiva lesione del suo diritto a quell'assistenza affettiva e materiale che ha determinato il legislatore, pur nel concorso di altri preponderanti motivi, a stabilire il divieto di adibire la donna al lavoro nei tre mesi successivi al termine della gestazione". Vero é, prosegue il giudice a quo, che la ratio della norma impugnata si estende alla necessità di tutelare la salute della madre; non sarebbe dubbio però che l'art. 4 l. n. 1204 del 1971 avrebbe anche la funzione di assicurare al neonato quella protezione che la Costituzione "ha espressamente ritenuto di dover favorire promuovendo istituti idonei allo scopo e correlandone la funzione con la necessità di favorire la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi". Di qui una "seria e discriminante limitazione in seno a quella famiglia che, privata dell'apporto fondamentale della donna, appare ancor più necessitante di protezione esterna e, soprattutto per quel che rigurda il neonato, di un apporto materiale ed affettivo che solo all'interno della famiglia stessa può immediatamente e compiutamente essere garantito". Questa esigenza non potrebbe essere negata senza violare la posizione di eguaglianza del padre e del figlio di fronte alla legge, proprio nel momento in cui il padre, in mancanza dell'altro genitore, é chiamato a svolgere l'intera funzione familiare stabilita dalla legge nei confronti del figlio e mentre quest'ultimo vede accentuarsi il proprio bisogno di protezione. Poiché, poi, la necessità di eguale tutela si rifletterebbe oltre che sulle posizioni individuali in seno alla famiglia, anche su situazione, funzione e proficuo sviluppo della famiglia stessa, resterebbero violati anche gli artt. 29, 30 e 31 Cost.

    Ovvi sarebbero infatti, nella mancata previsione, per il padre rimasto vedovo, della facoltà di astensione dal lavoro nei primi tre mesi di vita del figlio, gli ostacoli all'adempimento dei compiti relativi alla famiglia ed alla protezione dell'infanzia, mentre, con riguardo alla tutela della maternità, quantomeno abnorme sarebbe ritenere che "la morte durante il parto, dalla donna stessa accettata come evento non impossibile, ponga termine a quelle necessità protettive che facevano capo alla donna in quanto madre ed al figlio, che di quella simbiosi é rimasto, purtroppo, unico protagonista vivente".

    Il contrasto con la Costituzione investirebbe anche il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi ed il loro dovere e diritto, in quanto genitori, di educare i figli anche attraverso la previsione, in caso di loro incapacità, di un proficuo intervento da parte della legge. Tale contrasto apparirebbe ancor più accentuato tenendo conto che il Costituente, col "privilegiare la famiglia in quanto società naturale fondata sul matrimonio, le ha affidato un ruolo primario ed insostituibile nell'adempimento dei compiti ad essa relativi, attribuendo alla legge ed agli istituti esterni un ruolo di supporto e di sostegno che, per quanto fondamentale, deve espletarsi in forma necessariamente subordinata e mai sostitutiva, ogni qual volta le funzioni familiari possono trovare riferimento nell'esistenza e nella capacità anche di uno soltanto dei genitori". Lo stesso legislatore ordinario - sia pure in modo incompleto e certamente non estensibile al caso di specie - sembrerebbe aver colto il contrasto con i principi costituzionali laddove ha concesso (art. 7 l. n. 903 del 1977) anche al padre, in via alternativa alla madre, la facoltà di avvalersi del periodo di assenza facoltativa dal lavoro previsto dall'art. 7 l. n. 1204 del 1971. Si sarebbe però trattato di un riconoscimento solo incompleto che, proprio per la sua posteriorità rispetto alla disposizione di cui all'art. 4 lett. c) l. n. 1204 del 1971, impedirebbe di ritenere che il legislatore del 1971 minus dixit quam voluit.

    L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 325 del 26 novembre 1980.

    Nel giudizio non é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri né vi é stata costituzione della parte privata.

    La discussione della questione in oggetto, già fissata per la camera di consiglio del 25 maggio 1983, é stata rinviata all'udienza odierna.

  2. - Con ricorso in data 22 gennaio 1981 Foresti Franco, nella qualità di padre del minore Alberto, nato il 2 maggio 1980 dall'unione con Stano Rita, premesso che le condizioni di salute di quest'ultima erano tali da impedirle di occuparsi del figlio (in particolare, di accompagnarlo all'asilo e di riaccompagnarlo a casa), chiese al Pretore di Bologna di condannare il proprio datore di lavoro (Soc. Angst e Pfister), o in alternativa l'INPS, al pagamento della retribuzione relativa alle ore di permesso concessegli dal 1ø dicembre 1980 per consentirgli di provvedere al detto minore (in particolare: per l'accompagnamento dello stesso all'asilo ed il suo riaccompagnamento a casa), fondando la propria pretesa sull'art. 10 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204 e sull'art. 7 della legge 9 dicembre 1977 n. 903. In subordine, il ricorrente prospettò il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 7, 1 co., della l. n. 903 del 1977, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 30, 31, 35, 36 e 37 Cost. Nel giudizio innanzi al Pretore si costituirono la Soc. Angst e Pfister e l'INPS, che chiesero la reiezione delle pretese attrici.

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