Sentenza nº 200 da Constitutional Court (Italy), 28 Maggio 1987

RelatoreRenato Dell'Andro
Data di Resoluzione28 Maggio 1987
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 200

ANNO 1987

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente:

prof. Antonio LA PERGOLA;

Giudici:

prof. Virgilio ANDRIOLI,

prof. Giuseppe FERRARI,

prof. Giovanni CONSO,

prof. Ettore GALLO,

dott. Aldo CORASANITI,

prof. Giuseppe BORZELLINO,

dott. Francesco GRECO,

prof. Renato DELL'ANDRO,

prof. Gabriele PESCATORE,

avv. Ugo SPAGNOLI,

prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

prof. Antonio BALDASSARRE,

prof. Vincenzo CAIANIELLO;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 106 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo Unico delle leggi sulle imposte dirette), in relazione all'art. 20 della legge 5 gennaio 1956, n. 1, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 marzo 1979 dalla Corte di Cassazione sui ricorsi riuniti proposti dall'Amministrazione delle Finanze dello Stato contro la Società Agricola Riviera, iscritta al n. 693 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 338 dell'anno 1979;

2) n. 2 ordinanze emesse il 12 dicembre 1979 dalla Corte di Cassazione sui ricorsi proposti dalla Società Civile Agricola Immobiliare contro l'Amministrazione delle Finanze dello Stato, iscritte ai nn. 350 e 351 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 173 dell'anno 1980.

Visti gli atti di costituzione della Società Agricola Riviera e dell'Amministrazione delle Finanze dello Stato nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 13 gennaio 1987 il Giudice relatore Renato Dell'Andro;

Udito l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta, per l'Amministrazione delle Finanze dello Stato.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza dell'8 marzo 1979 (Reg. Ord. n.693/79) la Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 76 Cost., dell'art. 106, primo comma, del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, "nella parte in cui prevede, in contrasto col disposto dell'art. 20 della legge 5 gennaio 1956, n. 1, e fuori dei limiti della delega di cui all'art. 63 della stessa legge, la tassazione in R.M. delle plusvalenze realizzate dalle società in genere, in quanto tali, indipendentemente dall'esercizio di un'attività imprenditoriale".

    L'ordinanza é stata emessa a seguito di un ricorso proposto dall'Amministrazione delle Finanze dello Stato contro una decisione della Commissione Centrale delle Imposte, la quale aveva dichiarato non dovuta dalla S.p.a. "Agricola Riviera" l'imposta di Ricchezza Mobile per la plusvalenza realizzata con la cessione ai creditori degli immobili di sua proprietà, in sede di concordato preventivo, in quanto mancava nel soggetto la qualità d'imprenditore esercente un'attività commerciale, così come richiesto dall'art. 106 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 32 del 1975 di questa Corte. Nel ricorso l'Amministrazione delle Finanze aveva invece sostenuto la soggezione delle società per azioni, in quanto tali, all'imposizione. Aveva proposto ricorso incidentale la Società lamentando il mancato accoglimento della tesi dell'intassabilità delle plusvalenze in ipotesi di cessio bonorum in sede concordataria.

    Il giudice a quo ricorda che la sentenza n. 32 del 1975 di questa Corte ha dichiarato illegittimo, per eccesso di delega, il primo comma del suddetto art. 106 "nella parte in cui prevede la tassabilità delle plusvalenze e sopravvenienze attive di enti tassabili in base a bilancio", ma osserva che tale decisione riguarda esclusivamente gli enti di cui alla lettera c) dell'art. 8, terzo comma, del t.u. n. 645 del 1958, e cioé gli enti diversi dalle società di cui alle lettere a) e b) del medesimo articolo.

    Resta pertanto impregiudicato il dubbio di legittimità in ordine alla differenza di formulazione fra l'art. 106 e l'art. 20 citati per quanto attiene alla tassabilità delle plusvalenze delle società. L'art. 106 del t.u., infatti, sottopone ad imposta le plusvalenze di tutti i beni appartenenti a soggetti tassabili in base a bilancio, fra i quali, a norma dell'art. 2200 c.c., sono comprese tutte "le società costituite secondo uno dei tipi regolati nei capi III e segg. del titolo V e le società cooperative, anche se non esercenti un'attività commerciale". L'art. 20 della legge n. 1 del 1956, invece, prevede come soggetti passivi della tassazione le imprese e gli imprenditori, nel senso che fissa come presupposto dell'imposta l'esercizio di un certo tipo d'attività, dal quale possano derivare determinati redditi. Il che, del resto, si desume dal fatto che entrambi i commi dell'art. 20 si riferiscono agli "imprenditori", termine questo adoperato nel secondo comma come qualificativo di tutti i soggetti d'imposta, fra i quali il medesimo secondo comma opera poi una distinzione. In altri termini, il predetto art. 20 ancora la tassazione non alla presenza di determinate strutture bensì all'esercizio in concreto di un'attività imprenditoriale. Pertanto, la ragion d'essere della diversa regolamentazione contenuta nei due commi dell'art. 20 deve rinvenirsi non nella conseguenzialità della tassazione al semplice presupposto dell'esistenza o meno d'una strutturazione del soggetto come società, ma, fermo restando il presupposto dell'esercizio effettivo di un'attività imprenditoriale, nella presunzione assoluta di riferibilità delle plusvalenze a tale attività, se posta in essere da un soggetto (quale una società costituita a tale scopo) ontologicamente tale da non poter conseguire fini diversi da quelli di lucro, e nella necessità, invece, di una ricerca di un nesso di causalità per le plusvalenze realizzate da soggetti, in ipotesi, capaci di perseguire anche fini diversi.

    Così inteso però il predetto art. 20 - conclude la Corte di Cassazione - ne consegue che il suo contenuto non appare correttamente trasfuso nell'art. 106 del t.u., che fa derivare la tassabilità unicamente da un elemento meramente formale, ampliando quindi la sfera degli atti tassabili, in violazione dell'art. 63 della medesima legge n. 1 del 1956, che attribuiva all'esecutivo solo una certa discrezionalità in materia d'organizzazione dei servizi e d'attività d'accertamento dell'Amministrazione e non anche in materia di tassabilità vera e propria.

    L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

  2. - Dinanzi alla Corte si é costituita la S.p.a. Agricola Riviera, rappresentata e difesa dagli avv.ti proff. Gaetano Castellano e Floriano d'Alessandro, chiedendo l'accoglimento della questione.

    La società osserva che la sentenza n. 32 del 1975 interpretò l'art. 20 della legge n. 1 del 1956 nel senso che la soggezione ad imposta delle plusvalenze presuppone che esse siano realizzate nell'esercizio d'attività d'impresa commerciale e che tale condizione ricorre necessariamente e costantemente soltanto per gli enti ritenuti imprenditori commerciali istituzionali, mentre in tutti gli altri casi, ossia in tutti i casi in cui l'attività d'impresa non si presenti come necessariamente esclusiva del soggetto, il nesso tra tale attività e la realizzazione della plusvalenza deve essere accertato di volta in volta.

    Da questa interpretazione discende che é estraneo al contenuto normativo del citato art. 20 il principio dell'automatica tassabilità delle plusvalenze realizzate da società per azioni, con la conseguenza che l'art. 106 del t.u. deve reputarsi innovativo per questo riguardo e quindi illegittimo per eccesso di delega. Non può invero ritenersi che alla nozione di atto di società per azioni appartenga concettualmente (e quindi necessariamente) il carattere speculativo, ossia d'impresa commerciale. Una tale equiparazione é, infatti, resistita sia dall'erroneità dell'identificazione della società con l'impresa esercitata in forma collettiva sia dalla possibilità d'utilizzare il tipo della società azionaria per l'esercizio d'attività di (c.d.) impresa agricola sia, comunque, dal fenomeno della c.d. neutralizzazione delle strutture societarie, il cui rigido legame con una causa-scopo determinati, quale potrebbe essere l'esercizio d'attività speculativa ovvero d'impresa commerciale, pur sussistendo in origine, si é successivamente attenuato fino a scomparire del tutto.

  3. - Si é altresì costituita l'Amministrazione delle Finanze, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per manifesta irrilevanza o, comunque, infondata.

    Quanto alla rilevanza, l'Avvocatura osserva che nel ricorso per cassazione l'Amministrazione aveva lamentato, in primo luogo, l'omessa motivazione sul punto della natura (agricola o commerciale) dell'attività imprenditrice svolta, facendo presente che, essendo stata la società ammessa al concordato preventivo, la sua attività doveva considerarsi necessariamente commerciale; ed aveva sostenuto, in secondo luogo, che la tassabilità delle plusvalenze doveva riconoscersi a prescindere dalla natura agricola o commerciale dell'attività, svolgendo la società attività d'impresa. Con il ricorso incidentale la contribuente aveva invece sostenuto che con l'apertura della procedura concorsuale era venuto meno l'esercizio normale dell'impresa e che, pertanto, nella specie non esistendo impresa, non vi poteva essere tassazione di plusvalenze, senza dimostrazione dell'intento speculativo fin dall'acquisto. é, pertanto, manifestamente evidente l'irrilevanza della proposta questione di legittimità costituzionale, dal momento che nella specie é pacifico lo svolgimento, da parte della società contribuente, di attività imprenditoriale, controvertendosi soltanto in ordine alla natura (commerciale od agricola) dell'attività stessa ed alla necessità dello svolgimento dell'attività imprenditoriale al momento dell'alienazione del bene.

    Quanto al merito, l'Avvocatura osserva che il presunto contrasto fra l'art. 20 e l'art. 106 consisterebbe...

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