Sentenza nº 76 da Constitutional Court (Italy), 24 Marzo 1983

RelatoreAntonino De Stefano
Data di Resoluzione24 Marzo 1983
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 76

ANNO 1983

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente

Prof. ANTONINO DE STEFANO

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

Avv. ORONZO REALE

Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI

Avv. ALBERTO MALAGUGINI

Prof. LIVIO PALADIN

Dott. ARNALDO MACCARONE

Prof. ANTONIO LA PERGOLA

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI

Prof. GIUSEPPE FERRARI

Dott. FRANCESCO SAJA

Prof. GIOVANNI CONSO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. l, comma terzo, 3 e 6 della legge 12 novembre 1976, n. 751 (Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), 4, 5, comma primo, 17, 19 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) e 10 e 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 aprile 1980 dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma su ricorso di Tosca Mario, iscritta al n. 898 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 dell'11 febbraio 1981;

2) due ordinanze emesse il 29 settembre 1980 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma su ricorsi proposti dall'Ufficio II.DD. di Roma contro Zammuto Giorgio, iscritte, rispettivamente, ai nn. 229 e 230 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 9 settembre 1981.

Visti gli atti di costituzione di Zammuto Giorgio e dell'Amministrazione finanziaria dello Stato, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1982 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

uditi l'avv. Lucio V. Moscarini per Zammuto Giorgio e l'avvocato dello Stato Giovanni Albisinni per l'Amministrazione finanziaria dello Stato e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza 26 aprile 1980, la Commissione tributaria di primo grado di Roma, sezione XIV, ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione - dell'art. 1, comma terzo, della legge 12 novembre 1976, n. 751 (Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), degli artt. 4, 5, comma primo, 17 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) e degli artt. 10 e 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), nella parte in cui tali articoli:

    - prescrivono che ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) il reddito sia imputato al soggetto che lo produce, ed escludono dalla categoria dei soggetti d'imposta i familiari sprovvisti di redditi propri;

    - vietano al soggetto che produce il reddito, di dichiarare la quota (del reddito prodotto) destinata ad altri membri della famiglia, e di dedurre oneri sopportati nell'interesse di questi;

    - prescrivono che gli oneri per gli interessi passivi pagati per l'acquisto della casa di abitazione della famiglia, non possono essere detratti dal reddito complessivo del nucleo familiare, e quindi anche dal reddito del coniuge che li ha effettivamente sostenuti, ma soltanto dal reddito del coniuge intestatario del bene;

    - prevedono detrazioni fisse d'imposta per le persone a carico.

    Sospeso il giudizio in corso, ha perciò ordinato la trasmissione degli atti a questa Corte.

    La questione é sorta in seguito al ricorso, in data 18 maggio 1977, di un contribuente, Mario Tosca, contro la cartella esattoriale notificatagli per l'imposta sui redditi dell'anno 1974.

    Coniugato, con due figli, ed unico fra i componenti la famiglia a produrre un reddito (da lavoro dipendente), il Tosca sosteneva di aver diritto a dedurre dal reddito stesso (cosa che aveva fatto nella dichiarazione presentata per l'anno suddetto) l'eccedenza (rispetto al reddito catastale, di lire 420.000) degl'interessi pagati nello stesso anno per il mutuo ipotecario gravante sull'appartamento, intestato alla moglie, in cui la famiglia abitava. Sosteneva, altresì, che come "oneri deducibili" dovevano essere riconosciuti a suo favore i contributi da lui versati, a nome della moglie, all'I.N.P.S., per garantirle una pensione di vecchiaia. Avendo l'Ufficio, in base alla normativa dettata con la legge n. 751 del 1976 (in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 179 dello stesso anno, dichiarativa della illegittimità costituzionale delle preesistenti norme concernenti il c.d. "cumulo dei redditi dei coniugi"), per la regolamentazione dell'IRPEF per il 1974 e anni precedenti, escluso tale deducibilità, il ricorrente chiedeva che, previo giudizio di legittimità costituzionale, da promuoversi in riferimento agli artt. 2,3 e 47 della Costituzione, fosse riconosciuto dalla Commissione il suo diritto a dedurre dal proprio reddito i suindicati oneri da lui sostenuti a nome della moglie.

    Esposti sommariamente questi dati di fatto, nell'ordinanza di rinvio si osserva che, avendo l'amministrazione finanziaria, nel disattendere le pretese del Tosca, fatto specificamente applicazione dell'art. 1, comma terzo, della citata legge n. 751 del 1976 (in virtù del quale, appunto, "gli oneri previsti dall'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597", erano considerati deducibili non più, come prima della sentenza della Corte costituzionale, dai redditi cumulati dei coniugi, ma dal reddito complessivo del coniuge che li aveva sostenuti), la verifica della legittimità costituzionale di tale norma é senz'altro rilevante nel giudizio a quo: la decisione della controversia dipende infatti esclusivamente dall'esito di tale verifica. Peraltro - soggiunge la Commissione - la nuova questione da sottoporre alla Corte (dopo la sentenza n. 179 del 1976), non può limitarsi a questa disposizione, ma investe necessariamente - benché non direttamente applicati dall'Ufficio imposte - anche gli altri articoli della legge n. 114 del 1977 e del d.P.R. n. 597 del 1973, di cui con essa si é prospettata la illegittimità costituzionale. é, infatti, da presumere, secondo il giudice a quo, che, emanando le leggi n. 751 del 1976 e n. 114 del 1977, il legislatore ordinario non abbia voluto retroattivamente imporre ai coniugi obbligazioni tributarie più gravose di quelle già derivanti dall'applicazione delle leggi anteriori, "nel testo epurato" dalla sentenza della Corte costituzionale.

    L'art. 1, comma terzo, della legge n. 751 del 1976, va perciò ritenuto norma meramente dichiarativa di una regola implicita del regime della tassazione separata dei coniugi instauratosi in seguito a quella sentenza. é poi incontestabile - prosegue l'ordinanza di rinvio - che il divieto (in cui la disposizione del citato art. 1, comma terzo, rientra) di dedurre dal reddito prodotto dal contribuente le somme destinate a far fronte ai bisogni e agli oneri dei familiari, a sua volta altro non é che la naturale conseguenza della regola principale, che (salvo eccezioni irrilevanti) assegna esclusivamente alle detrazioni fisse per i familiari a carico, la funzione di dosare il carico fiscale secondo la composizione delle famiglie. Dimodoché - se ne conclude - se incostituzionale fosse quel divieto, occorrerebbe sradicarlo dall'ordinamento tributario con una operazione ben più profonda della semplice eliminazione dell'art. 1, comma terzo, della legge n. 751. Nell'attuale regolamentazione dell'IRPEF - prosegue l'ordinanza di rinvio - continuano infatti ad essere esclusi dalla categoria dei soggetti d'imposta il coniuge e i familiari del contribuente che non producono reddito. Le detrazioni previste a loro riguardo seguitano inoltre ad essere stabilite in misure modeste e corrispondenti, per di più, a quote di reddito decrescenti col crescere del reddito complessivo. In tali detrazioni non si tiene quindi alcun conto della quota di reddito che ciascun soggetto destina (ed é obbligato a destinare), al mantenimento della famiglia, senza poterne liberamente disporre. Inoltre, per il coniuge sprovvisto di reddito - sottolinea ancora il giudice a quo - mentre, in caso di convivenza, il contribuente ha diritto alla sola detrazione in misura fissa, in caso di separazione legale o di annullamento o scioglimento del matrimonio, ha diritto alla deduzione per intero degli assegni dovuti, con una disparità di trattamento sicuramente irrazionale, dato che la situazione economica di un coniuge si comunica all'altro assai più quando esiste l'unità familiare che quando questa é spezzata.

    Queste norme del regime tributario della famiglia, non sottoposte al giudizio della Corte, e perciò non esaminate, nella controversia sul cumulo dei redditi, sopravvissute quindi alla decisione adottata con la sentenza n. 179 del 1976 e ribadite dalle leggi successive (fra le quali la Commissione tributaria comprende anche le disposizioni per cui continuano ad essere imputati ai genitori i redditi dei figli minori) secondo l'ordinanza di rinvio sono inoltre strettamente collegate ad una nozione del presupposto dell'IRPEF diversa da quella definita dall'art. 1 del d.P.R. n. 597 del 1973. Secondo questo articolo é infatti, il possesso, e non già la mera produzione del reddito, che concorre a formare la capacità contributiva. Invece, nel disciplinare il trattamento fiscale dei redditi familiari (al di fuori dell'ambito di applicazione di certe disposizioni in materia di impresa familiare, conformi a quel principio, aggiunte all'art. 5 del d.P.R. n. 597 del 1973 con la legge 2 dicembre 1975, n. 576) il legislatore-tralasciando di considerare che la donna casalinga e gli altri familiari...

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