Sentenza nº 86 da Constitutional Court (Italy), 10 Maggio 1982

RelatoreLivio Paladin
Data di Resoluzione10 Maggio 1982
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 86

ANNO 1982

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente

Dott. MICHELE ROSSANO

Prof. ANTONINO DE STEFANO

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

Avv. ORONZO REALE

Avv. ALBERTO MALAGUGINI

Prof. LIVIO PALADIN

Dott. ARNALDO MACCARONE

Prof. ANTONIO LA PERGOLA

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI

Prof. GIUSEPPE FERRARI

Dott. FRANCESCO SAJA

Prof. GIOVANNI CONSO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 20 dicembre 1973, n. 831 (Norme per la nomina a magistrato di cassazione) promossi con ordinanze emesse il 2 dicembre 1977 e il 3 luglio 1979 dal Consiglio di Stato - Sez. IV giurisdizionale, sui ricorsi proposti da Lucentini Sergio ed altri e da Torella di Romagnano Andrea contro il Ministero di Grazia e Giustizia ed altri, rispettivamente iscritte al n. 291 del registro ordinanze 1978 e al n. 56 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250 del 1978 e n. 85 del 1980.

Visti l'atto di costituzione di Lucentini Sergio ed altri e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1982 il Giudice relatore Livio Paladin;

Uditi l'avv. Umberto Coronas, per Lucentini Sergio ed altri e gli avvocati dello Stato Piergiorgio Ferri e Carlo Carbone, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Sergio Lucentini ed altri, consiglieri di corte d'appello nominati consiglieri di cassazione ai sensi dell'art. 21, sesto comma, della legge 20 dicembre 1973, n. 831, chiedevano al TAR per il Lazio l'annullamento dei rispettivi provvedimenti di nomina, limitatamente alla loro decorrenza giuridica: sostenendo l'illegittimità costituzionale del predetto comma sesto dell'art. 21, in riferimento all'art. 3 Cost. Ma i ricorsi venivano respinti dall'adito Tribunale, previa dichiarazione della manifesta infondatezza delle censure in esame.

    Avverso tale sentenza, gli interessati hanno proposto appello al Consiglio di Stato, insistendo nell'assunto che le loro nomine a magistrati di cassazione sarebbero state operate in applicazione di una norma costituzionalmente illegittima. La decorrenza giuridica delle nomine stesse, fissata al momento dell'entrata in vigore della legge n. 831 del 1973 quanto ai "magistrati che per qualsiasi motivo non abbiano partecipato ad alcuno scrutinio per la nomina a magistrati di cassazione, pure avendo l'anzianità necessaria", determinerebbe infatti una irragionevole equiparazione dei ricorrenti con i colleghi che in sede di scrutinio avessero riportato un giudizio sfavorevole; e li discriminerebbe, d'altro lato, rispetto ai magistrati che all'entrata in vigore della legge n. 831 avessero già maturato l'anzianità di sette anni, prevista dall'art. 4 della legge stessa, ma non l'anzianità di nove anni, richiesta per la partecipazione allo scrutinio dalla legge n. 1 del 1963: magistrati per i quali l'art. 21, quinto comma, della legge n. 831 fa decorrere gli effetti giuridici della nomina dal compimento dei sette anni di anzianità.

    La quarta sezione del Consiglio di Stato ha per altro ritenuto di non poter delibare la non manifesta infondatezza delle censure proposte dai ricorrenti, senza una previa verifica della "ragionevolezza" del procedimento di nomina, contemplato dalla legge n. 831 del 1973; ed ha pertanto impugnato con ordinanza emessa il 2 dicembre 1977 - l'intero "sistema di progressione a magistrato di cassazione", previsto dalla legge stessa, "nella parte in cui deferisce al Consiglio superiore il potere di attribuire (oltre ad una classe di stipendio che non viene in discussione) la nomina a magistrato di cassazione, senza il conferimento delle corrispondenti funzioni". Tale sistema sarebbe infatti "ispirato nella sua concezione di fondo ad una completa e totale divaricazione tra l'esercizio effettivo delle funzioni di magistrato di cassazione e l'attribuzione della corrispondente qualifica", che ormai si sostanzierebbe "nel conferimento quasi automatico di un titolo e di una classe di stipendio", indipendentemente dalla spettanza delle funzioni medesime, tanto é vero - precisa l'ordinanza - che nel 1977, su 505 posti di ruolo, risultavano nominati 1912 magistrati di cassazione.

    Di qui discenderebbe la violazione del principio fissato dal terzo comma dell'art. 107 Cost., per cui "i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni": con chiaro riferimento - assume il giudice a quo - al "dato oggettivo desumibile dalla effettiva incardinazione del magistrato in un ufficio". E, mentre per la magistratura di merito l'unificazione sostanzialmente disposta dalla legge n. 570 del 1966 sarebbe "avvenuta sulla base di una asserita identità di funzioni", altrettanto non potrebbe dirsi per l'ufficio in esame, poiché lo vieterebbero le "concrete funzioni inerenti al sindacato giurisdizionale della Corte Suprema" e la "posizione che ad essa é riconosciuta dalla Costituzione" (ex artt. 104, quarto comma, 106, terzo comma, 111 secondo e terzo comma, 135, primo e secondo comma). Da questa particolare posizione emergerebbe, dunque, "che le funzioni relative all'ufficio di consigliere di cassazione sono quelle e solo quelle esercitate dai magistrati effettivamente destinati alla Corte di cassazione e che soltanto ad essi spetta la qualifica di magistrati di cassazione, ai sensi dell'art. 107, terzo comma, Cost.".

    Una volta ridimensionato l'attuale sistema di progressione, risolvendolo nella pura e semplice attribuzione di una superiore classe di stipendio, potrebbe poi accogliersi - secondo l'ordinanza di rimessione - la richiesta dei ricorrenti, intesa ad evitare un loro scavalcamento da parte di colleghi meno anziani. Appunto in questo senso, all'annullamento della legge n. 831, nella parte concernente la detta progressione, dovrebbe seguire l'annullamento dell'art. 21, sesto comma: che il Consiglio di Stato impugna pertanto, con riferimento all'art. 3 Cost., "in via subordinata e condizionata all'accoglimento" dell'impugnativa principale.

  2. - I ricorrenti, costituitisi nel presente giudizio, hanno invece precisato di non essere interessati a coltivare la questione principale di legittimità, sollevata d'ufficio dal giudice a quo; ed anzi ne hanno messo in dubbio la rilevanza, insistendo soltanto nell'originaria richiesta di annullamento dell'art. 21, sesto comma, che essi considerano lesivo dell'esigenza costituzionale di "trattamento uguale delle situazioni uguali" e di "trattamento differenziale delle situazioni diverse".

    Da un lato, sarebbe illegittimo l'aver equiparato, in deroga al "nuovo principio della decorrenza della promozione in Cassazione dal compimento del settimo anno di anzianità nella qualifica di magistrato d'appello", i magistrati che non avessero partecipato ai vecchi scrutinii e quelli che vi fossero stati bocciati: solo nel secondo e non nel primo caso, infatti, il ritardo della promozione potrebbe esser giustificato dal suo "carattere in senso lato sanzionatorio" o dall'opportunità di consentire comunque che i soggetti già ritenuti inidonei abbiano il tempo di dare la prova della loro conseguita idoneità. D'altro lato, sarebbe arbitrario l'avere previsto per i ricorrenti un regime diverso e deteriore nei confronti di altri magistrati d'appello, meno anziani di essi, che non erano in grado di partecipare ai vecchi scrutinii: poiché ne derivererebbero, rispettivamente, un premio ed una sanzione del tutto immotivati, data la facoltatività della partecipazione di cui trattasi.

  3. - L'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce a sua volta che l'impugnativa principale del Consiglio di Stato sarebbe irrilevante, in quanto eccederebbe il petitum (ad un punto tale che l'accoglimento di essa determinerebbe non già il conseguente accoglimento dei ricorsi, bensì l'annullamento delle stesse nomine dei ricorrenti a magistrati di cassazione).

    In ogni caso, l'impugnativa principale sarebbe infondata, poiché l'art. 107, terzo comma, della Costituzione garantirebbe l'indipendenza dei giudici, anche nei loro reciproci rapporti, ma non "la contestualità tra qualifica e funzione". E nessun attentato all'indipendenza arrecherebbe la legge impugnata, ritardando il conferimento della funzione medesima; ché anzi tale legge, operando lo "sradicamento" del principio della carriera, toglierebbe di mezzo "uno strumento pericolosamente lesivo... della libertà dei giudici", utilizzabile dai superiori per "interventi diretti o pressioni ed influenze indirette", nonché suscettibile di determinare nel singolo magistrato "processi di autocondizionamento e sudditanza psicologica".

    Del pari, sarebbe infondata la questione proposta in via subordinata, poiché i magistrati che si fossero sottratti agli scrutinii, per una libera scelta comunque motivata, non potrebbero ora pretendere un identico (o addirittura un migliore) trattamento di quanti vi avessero partecipato con successo. Diversamente, infatti, si produrrebbe una "diseguaglianza di segno opposto", non solo nei confronti di quanti erano stati sfavorevolmente giudicati, ma rispetto agli stessi magistrati di cui al quinto comma dell'art. 21.

  4. - In vista della pubblica udienza del 21 gennaio 1981, i ricorrenti hanno depositato una memoria, traendo argomento dal disegno di legge n. 2115/Senato, presentato il 22 maggio 1975, per modificare l'art. 21, quinto e sesto comma, della legge n. 831 del 1973, nel senso auspicato dagli interessati.

    Per altro, dopo essere stata discussa nell'udienza predetta, la causa in esame é stata rinviata a nuovo ruolo - mediante l'ordinanza n. 172 del 1981 - ed é stata quindi ridiscussa nella pubblica udienza del 24 marzo 1982. In tale occasione, tanto l'Avvocatura dello Stato quanto la difesa dei ricorrenti hanno insistito nella richiesta che la Corte dichiari preliminarmente inammissibile, per irrilevanza, la questione sollevata in via principale dalla...

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