Sentenza nº 11 da Constitutional Court (Italy), 23 Marzo 1968

Data di Resoluzione23 Marzo 1968
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 11

ANNO 1968

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. ALDO SANDULLI, Presidente

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. CIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZì

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

Dott. LUIGI OGGIONI

Dott. ANGELO DE MARCO

Avv. ERCOLE ROCCHETTI

Prof. ENZO CAPALOZZA

Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 24, 28 cpv., 29, 33, 34, 35, 45, 46, 47, 51, lett. c e d, 54, 55, 63, terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (ordinamento della professione di giornalista), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 7 febbraio 1967 dal Tribunale di Torino sul ricorso di Ricciardi Maria, iscritta al n. 135 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 190 del 29 luglio 1967;

2) ordinanza emessa il 5 giugno 1967 dal pretore di Catania nel procedimento penale a carico di Settinori Giuseppe e Longhitano Giuseppe, iscritta al n. 210 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Lenghitano Giuseppe e dell'Ordine del giornalisti di Sicilia;

udita nell'udienza pubblica del 14 febbraio 1968 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

uditi gli avvocati Arturo Carlo Jemolo e Paolo Barile, per Longhitano Giuseppe, gli avvocati Massimo Severo Giannini e Nino Gaeta, per l'Ordine del giornalisti di Sicilia, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza del 5 giugno 1967, emessa nel procedimento penale a carico di Giuseppe Settineri e Giuseppe Longhitano, il pretore di Catania ha sollevato varie questioni di legittimità costituzionali concernenti numerose disposizioni della legge 3 febbraio 1963, n. 69, relativa all'ordinamento della professione di giornalista.

    Dopo aver osservato che nel giudizio innanzi a lui pendente vanno applicate norme che, imponendo l'iscrizione obbligatoria nell'albo, costituiscono una limitazione assoluta della libertà di stampa e dopo aver messo in evidenza che la sopravvenuta amnistia del reato ascritto agli imputati non esclude la rilevanza della questione sulla legittimità costituzionale delle norme che lo configurano, il pretore enuncia le ragioni che gli fanno ritenere non manifestamente infondati i dubbi sulla costituzionalità delle disposizioni impugnate e che possono così riassumersi:

    1) l'art. 29 della legge condiziona l'iscrizione nell'elenco del professionisti alla previa iscrizione nel registro del praticanti ed all'esercizio continuativo della pratica per almeno 18 mesi: con il che la possibilità di intraprendere l'attività giornalistica viene fatta dipendere dalla completa discrezionalità - artt. 33 e 34 - degli editori, del direttori del giornali e, attraverso l'Ordine, del giornalisti già iscritti;

    2) l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti - art. 35 - é condizionata alla dimostrazione di aver svolto attività retribuita per almeno due anni, alla certificazione del direttori delle pubblicazioni ed alla valutazione del singoli Consigli dell'Ordine: e ciò col pericolo di una possibile forma di censura ideologica.

    A proposito di queste prime due censure il pretore, rilevato che alla discrezionalità altrui le suddette norme rimettono la possibilità di esercitare un diritto di libertà costituzionalmente garantito e da valutare anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione, esclude ogni possibilità di raffronto tra l'istituzione dell'albo del giornalisti e gli albi relativi ad altre attività professionali che non riguardano l'esercizio di diritti pubblici soggettivi, ed osserva che la libertà di manifestare il proprio pensiero non tollera limitazioni che non trovino fondamento negli stessi principi costituzionali;

    3) gli artt. 46 e 47, nelle parti in cui prescrivono l'obbligo di iscrizione all'albo per i direttori e i vice direttori responsabili dei quotidiani, dei periodici e delle agenzie contrastano sia con l'art. 21 che con gli artt. 18, 19 e 33 della Costituzione, perché possono compromettere la libertà di stampa, la libertà religiosa, la libertà di associazione e la libertà della cultura;

    4) l'art. 36 condiziona l'iscrizione di uno straniero ad un trattamento di reciprocità, laddove l'art. 21 della Costituzione garantisce a "tutti" la libera manifestazione del pensiero; ed inoltre la limitazione dell'iscrizione - v. art. 33 reg. - a chi abbia esercitato la professione in conformità alle leggi dello Stato di appartenenza soffoca la libera voce di chi é cittadino di un paese che non conosca la libertà di stampa;

    5) l'art. 63, comma terzo, prevede la partecipazione di giornalisti designati dal Consiglio dell'ordine ai collegi giudiziari di primo e secondo grado, ma, in quanto non prevede le garanzie necessarie ad assicurarne l'indipendenza, viola l'art. 108 della Costituzione;

    6) la struttura di corporazione chiusa, propria dell'Ordine, fa apparire costituzionalmente illegittimi: a) l'art. 28 (v. anche art. 32 reg.), che affida alla decisione irrevocabile del Consiglio la valutazione della natura delle pubblicazioni a carattere tecnico, professionale e scientifico; b) l'art. 47, comma primo, che attribuisce al Consiglio il compito di accertare se determinate pubblicazioni siano organi di partiti o di movimenti politici o di organizzazioni sindacali, e ciò col pericolo che siano limitati i diritti riconosciuti dagli artt. 39 e 49 della Costituzione; c) gli artt. 51, c e d, 54 e 55, relativi alla sospensione ed alla radiazione, perché queste misure colpiscono non solo il singolo, ma anche il periodico, al quale vien meno uno del requisiti richiesti per la registrazione; d) l'art. 24, che attribuisce al Ministro di grazia e giustizia poteri che possono incidere sulla libertà di stampa.

    L'ordinanza mette in evidenza che, pur essendo strettamente rilevanti per il giudizio in corso solo le questioni relative agli artt. 45, 29, 33, 34 e 35, vengono rimesse alla Corte anche le altre disposizioni di cui si é fatto cenno perché la Corte ne pronunzi la caducazione in forza dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Il pretore conclude col rilievo che molte delle norme impugnate non sarebbero forse incostituzionali se l'alto non avesse carattere di obbligatorietà, e a tal proposito ricorda sia le norme fasciste che proprio attraverso la regolamentazione dell'attività giornalistica attentarono alla libertà di stampa, sia le opinioni nettamente contrarie all'istituzione dell'albo espresse, durante la Costituente e dopo, da eminenti personalità del mondo democratico.

  2. - L'ordinanza, regolarmente notificata alle parti, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 271 del 28 ottobre 1967.

    Nel presente giudizio si sono costituiti il sig. Giuseppe Longhitano, l'Ordine del giornalisti di Sicilia ed il Presidente del Consiglio dei Ministri.

    La difesa del Longhitano, dopo aver rilevato che l'attività svolta dal giornalista professionista é in sostanza attività di lavoro subordinato e che perciò la legge in esame applica la normativa generale concepita per i liberi professionisti a persone che a tale categoria non appartengono, denuncia il pieno contrasto fra la legge che riserva l'attività giornalistica solo a chi sia iscritto in un albo ed il principio costituzionale che a tutti garantisce il diritto di manifestare il proprio pensiero con lo scritto o con ogni altro mezzo di diffusione e, dunque, anche attraverso il giornale, che é il più antico e più usato strumento di propaganda delle idee: contrasto ancor più evidente se si considera che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni, mentre la legge consente la redazione del giornale solo a chi abbia ricevuto il crisma di un apparato in vario modo agganciato ad organi statali. Né varrebbe, secondo la difesa, far richiamo a norme le quali impongono prove di capacità per l'esercizio di determinate attività, perché esse presuppongono la necessità di accertare doti tecniche a tutela di interessi del terzi, laddove pretendere che il giornale sia ben fatto significa imprimergli un carattere di ufficiosità: il giornalismo si avvicina all'arte e non tollera altro giudizio che quello del pubblico del lettori, men che mai un giudizio (ad es. perfino sull'obbligo del rispetto della verità sostanziale del fatti) che l'art. 2 finisce con l'affidare addirittura ai Tribunali dello Stato. La legge, continua la difesa, può divenire, ad un primo avvento di governo autoritario, pericoloso mezzo di pressione e contrasta altresì con l'art. 3, secondo comma, della Costituzione, perché, pretendendo titoli di cultura, impedisce a soggetti che non li posseggano o non possano sottoporsi alla pratica, di dar vita ad un giornale; con gli artt. 18, 19, 39 e 49 della Costituzione perché la pubblicazione di un giornale può essere il fine di un'associazione, può servire allo scopo di promuovere un risveglio religioso, può avere finalità sindacali o politiche; con l'art. 33 perché il campo prossimo al giornalismo é quello della cultura e dell'arte; infine con l'art. 108 della Costituzione perché é la maggioranza...

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