Sentenza nº 107 da Constitutional Court (Italy), 19 Luglio 1968

Data di Resoluzione19 Luglio 1968
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 107

ANNO 1968

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. ALDO SANDULLI, Presidente

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZì

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

Dott. LUIGI OGGIONI

Dott. ANGELO DE MARCO

Avv. ERCOLE ROCCHETTI

Prof. ENZO CAPALOZZA

Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI

Prof. VEZIO CRISAFULLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, quarto comma, seconda parte, della legge 31 marzo 1956, n. 294 (provvedimenti per la salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia), nel testo sostituito dall'art. 6 della legge 5 luglio 1966, n. 526, promosso con ordinanza emessa il 17 novembre 1966 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento civile vertente tra Padoa Laura e Fusinato Padoa Rosella contro Poli Ivano e Gerardon Molin Adele, iscritta al n. 7 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1967.

Visti gli atti di costituzione di Poli, Gerardon Molin, Padoa e Fusinato Padoa, e l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1968 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Giovanni Dalla Santa, per Poli e Gerardon Molin, l'avv. Enrico Guicciardi, per Padoa e Fusinato Padoa, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto

Nella causa vertente davanti alla Corte d'appello di Venezia tra le appellanti Laura Padoa e Rosella Fusinato Padoa e gli appellati dott. Ivano Poli e Adele Gerardon Molin, e concernente la non conformità a legge, nei confronti degli appellati, della costruzione di un fabbricato che sarebbe stata intrapresa dalle appellanti dopo la data di pubblicazione del piano regolatore generale del Comune di Venezia (sulla base di licenza edilizia rilasciata prima di quella data), e che sarebbe in contrasto con alcune prescrizioni del piano regolatore stesso, gli appellati Poli e Gerardon Molin hanno eccepito l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della disposizione del quarto comma dell'art. 4 della legge 31 marzo 1956, n. 294 (nel testo risultante dall'art. 6 della legge 5 luglio 1966, n. 526), secondo la quale restano salve le opere in corso di esecuzione o eseguite "sulla base ed in conformità di licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano regolatore generale, cui vanno applicate, a tutti gli effetti le sole norme urbanistiche antecedenti al piano regolatore generale".

La Corte di appello di Venezia, con ordinanza del 17 novembre 1966, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di cui alla detta eccezione, ed ha conseguentemente sospeso il giudizio in corso e disposto la trasmissione degli atti a questa Corte ed il compimento delle notificazioni e comunicazioni previste dalla legge.

Secondo la Corte d'appello, ricorre la necessaria rilevanza della questione, perché il caso da decidere rientra nella previsione del suddetto articolo, il quale riguarda sia le opere da eseguire per la salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia e per il risanamento igienico del suo abitato, che i divieti da rispettare per non compromettere il futuro assetto della città, stabilito dagli adottandi piani particolareggiati secondo le previsioni del piano regolatore generale.

La sollevata questione, d'altra parte, sempre secondo la Corte d'appello, non appare manifestamente infondata: anzitutto, perché alla disciplina dei rapporti di vicinato tra privati concorrono con efficacia immediata le prescrizioni dei piani regolatori generali (quanto contengano norme del tipo di quelle di cui si assume nel caso la violazione) e sopra codesti rapporti incide la disposizione denunciata, che ha "una portata retroattiva" in quanto stabilisce che alle opere eseguite o cominciate in base a licenze rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano regolatore generale si applica a tutti gli effetti la disciplina antecedente al piano medesimo e conseguentemente dette opere restano salve anche se contrastanti con le prescrizioni del piano regolatore.

La questione non é manifestamente infondata, in secondo luogo, perché ai diritti di vicinato - quali regolati dal piano - dei proprietari dei fondi finitimi viene fatto diverso trattamento. Secondo l'ordinanza, la denunciata disposizione sancisce il sacrificio dei diritti dei soli proprietari che si sono trovati a confinare, accidentalmente, con titolari di licenze edilizie irrispettosi del piano, e soprattutto limita la sanatoria ad alcune parti del territorio comunale (quelle per le quali sono previsti piani particolareggiati dal primo comma del detto articolo), con la conseguenza che tutte le costruzioni contrarie al piano generale sorte nelle altre parti del territorio devono tuttora essere ritenute illegittime ed essere trattate come tali (malgrado nelle parti stesse la disciplina urbanistica ed edilizia sia meno rigorosa). Si ha in tal modo, una "ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai titolari di licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano per le zone alle quali si riferisce la sanatoria, e rispetto ai proprietari dei fondi confinanti".

In riferimento all'art. 3 della Costituzione, la disposizione denunciata, secondo la Corte d'appello, potrebbe essere illegittima anche sotto il profilo indicato dagli appellati (con la soprarichiamata eccezione) e cioé perché "alle vertenze in corso si verrebbe a dare una soluzione diversa da quella fin ad ora adottata in relazione alle medesime norme, creandosi così una inconcepibile disparità con situazioni ormai consolidate", e infine perché sarebbe iniquo il privilegio concesso ai cittadini meno rispettosi dei vincoli del piano regolatore, nei confronti di quelli, che, egualmente autorizzati a costruire con licenza rilasciata prima dell'entrata in vigore del piano, si astennero dall'iniziare le costruzioni per non infrangere la nuova disciplina.

L'ordinanza della Corte d'appello é stata regolarmente notificata e comunicata ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 25 febbraio 1967.

Davanti a questa Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri e si sono costituite tutte le parti private.

Il dott. Ivano Poli e Adele Gerardon Molin, con deduzioni depositate il 19 gennaio 1967, hanno insistito nella loro interpretazione della norma impugnata (che non sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione) ed in subordine ne hanno chiesto la dichiarazione di illegittimità costituzionale. Premettevano che il piano regolatore generale per la città di Venezia, approvato il 17 dicembre 1962 e pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale del 22 febbraio 1963, non conteneva alcuna norma transitoria e per ciò é sorto subito il problema relativo all'operatività delle licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano ed eventualmente in contrasto con esso, e che detto problema é stato risolto dalla giurisprudenza nel senso della piena efficacia di tali licenze, qualora al momento dell'entrata in vigore del piano fosse stato dato inizio ai lavori di costruzione con il completamento delle fondazioni ed inizio delle opere fuori terra.

Senonché, secondo i deducenti, tale orientamento non sarebbe riuscito gradito a certi ambienti interessati, che si sarebbero mossi onde conseguire una norma di legge che consentisse la permanenza e l'operatività di situazioni di fatto certamente illegittime. L'occasione sarebbe stata offerta dalla discussione della proposta di legge n. 1609 d'iniziativa dei deputati Gagliardi ed altri, ed il fine sarebbe stato conseguito con l'art. 6 della relativa legge (del 1966). Ma il tentativo sempre secondo i deducenti - non sarebbe riuscito, e si tratterebbe ora di un appiglio assai fallace perché legato ad una interpretazione della norma (interpretazione erronea, ma adottata dalla Corte di Venezia) dalla quale scaturirebbe una chiara illegittimità costituzionale della norma stessa.

Per il Poli e la Gerardon Molin, però, la norma de qua andrebbe diversamente interpretata. Essa non si riferisce a qualsiasi costruzione privata, bensì solo alle "opere per la salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia e per il risanamento igienico del suo abitato", Onde, tenuto anche conto del testo letterale della norma e, segnatamente, dell'avverbio "peraltro" che lega le due parti del quarto comma dell'art. 6 della legge del 1966 oggi impugnato, i limiti di operatività...

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