Sentenza nº 59 da Constitutional Court (Italy), 24 Novembre 1958

Data di Resoluzione24 Novembre 1958
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 59

ANNO 1958

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3 della legge 24 giugno 1929, n. 1159, e 1 e 2 del R. D. 28 febbraio 1930, n. 289, promosso con ordinanza 30 luglio 1957 del Tribunale di Crotone, emessa nel procedimento penale a carico di Rauti Francesco, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 223 del 7 settembre 1957 ed iscritta al n. 80 del Registro ordinanze 1957.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica dell'8 ottobre 1958 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Gugliemi e gli avvocati Arturo Carlo Jemolo, Leopoldo Piccardi e Giacomo Rosapepe.

Ritenuto in fatto

Davanti al Tribunale di Crotone pendeva procedimento penale a carico di Rauti Francesco, imputato "della contravvenzione di cui all'art. 650 Cod. pen., per avere continuato ad esercitare l'attività del culto pentecostale ed a tenere aperto al pubblico l'oratorio di detto culto, nonostante il divieto fattogli dall'autorità di p. s. di Crotone di esercitare tale attività e tenere aperto il detto oratorio senza avere prima ottenuto l'approvazione e l'autorizzazione governative previste, per l'esercizio di culti acattolici, dalla legge 24 giugno 1929, n. 1159, e dal R. D. 28 febbraio 1930, n. 289".

All'udienza del 30 luglio 1957, la difesa del Rauti chiese che gli atti fossero rimessi alla Corte costituzionale sostenendo che gli artt. 2 e 3 della legge 24 giugno 1929 e 1 e 2 del R. D. 28 febbraio 1930, n. 289, fossero in contrasto con gli artt. 8, 19 e 20 della Costituzione. Il Tribunale, con ordinanza in pari data, limitandosi a rilevare "che la questione non appare manifestamente infondata", ordinò la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti a questa Corte.

L'ordinanza fu regolarmente notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 7 settembre 1957, n. 223.

Il 26 agosto 1957 si costituiva, con atto di intervento e deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri; il 9 settembre si costituiva anche il Rauti a mezzo dell'avv. Rosapepe, a cui si aggiungevano, come da dichiarazione del Rauti depositata il 9 aprile 1958, gli avvocati Temolo e Piccardi.

Nelle sue deduzioni, l'Avvocatura eccepisce preliminarmente la insussistenza, nella specie, della questione di legittimità costituzionale, considerato che al Rauti era stata contestata la violazione dell'art. 650 del Cod. pen. (inosservanza di provvedimenti dell'autorità per ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, ecc.), che non ha nessuna interferenza con la legge 24 giugno 1929, n. 1159, in quanto questa legge non contiene sanzioni penali né fa riferimento alla menzionata norma dell'art. 650 Cod. pen., la quale non può trovare applicazione nei casi previsti dagli artt. 2 e 3 della legge 24 giugno 1929, n. 1159, e dagli artt. 1 e 2 del R. D. 28 febbraio 1930, n. 289; e infine perché fra i provvedimenti cui si riferisce l'art. 650 non sono da comprendersi quelli di carattere legislativo o regolamentare.

Nel merito si sostiene la infondatezza della questione, non potendosi ravvisare nelle leggi vigenti in materia di culti acattolici un contrasto con i precetti costituzionali concernenti la libertà dei culti medesimi, in quanto tali leggi sono soltanto intese a dare una disciplina alle confessioni religiose diverse da quella cattolica, tale che non solo non ne lede la libertà, ma pone persino i presupposti di prerogative e di facilitazioni dirette a garantirne l'esercizio. Secondo l'Avvocatura, se é vero da una parte che la Costituzione garantisce anche alle confessioni religiose acattoliche il libero esercizio del culto e la possibilità di aprire templi ed oratori, non é men vero che tale facoltà non può essere lasciata completamente priva di disciplina, e deve al contrario essere regolata per legge, sulla base di intese fra lo Stato e le rappresentanze delle predette confessioni, in base all'ultimo comma dell'art. 8 della Costituzione. Il quale art. 8, sempre secondo l'Avvocatura, col rinviare a tale disciplina legislativa, assumerebbe un carattere non precettivo, e lascerebbe pienamente valide frattanto le impugnate disposizioni, senza di che si verificherebbe una grave carenza legislativa. Le disposizioni della legge del 1929 e del R. D. del 1930 non sarebbero per nulla in contrasto col principio della libertà religiosa, né l'approvazione governativa della nomina di un ministro di culto acattolico o il riconoscimento dell'esercizio della sua attività avrebbe interferenza alcuna in ordine alla libertà di professare la propria fede religiosa; ché anzi l'approvazione della nomina dei ministri del culto e l'autorizzazione all'apertura dei templi e oratori apre la via al riconoscimento di facoltà e diritti a favore delle confessioni acattoliche, quali l'esercizio delle funzioni delegate di ufficiale dello stato civile per la celebrazione di matrimoni, la facoltà di ricevere testamenti, la facoltà di richiedere la esenzione dal servizio militare, e via dicendo.

Nella memoria depositata in cancelleria il 19 settembre 1958, oltre a ribadire le precedenti deduzioni, l'Avvocatura fa ricorso al concetto dell'ordine pubblico, le cui esigenze, a suo avviso, importerebbero limitazioni alla libertà religiosa. A questo proposito la questione particolare del diritto di professare liberamente la...

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