Sentenza nº 73 da Constitutional Court (Italy), 06 Dicembre 1958

Data di Resoluzione06 Dicembre 1958
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 73

ANNO 1958

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, n. 1490, in relazione all'art. 27 della legge 12 maggio 1950, n. 230, promosso con ordinanza 22 giugno 1957 emessa dalla Corte suprema di cassazione nel procedimento civile vertente tra Boscarelli Pasquale, Michele e Rosario e l'Opera per la valorizzazione della Sila, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 223 del 7 settembre 1957 ed iscritta al n. 74 del Registro ordinanze 1957.

Udita nell'udienza pubblica del 5 novembre 1958 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

uditi l'avv. Cesare Tumedei per i Boscarellli, e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò per l'Opera per la valorizzazione della Sila.

Ritenuto in fatto

  1. - Con decreto del Presidente della Repubblica in data 24 dicembre 1951, n. 1490, fu disposta ai sensi della legge 12 maggio 1950, n. 230, con cui erano stati delegati al Governo poteri in relazione alla colonizzazione dell'altipiano della Sila, l'espropriazione in danno di Boscarelli Nicola ed a favore dell'Opera per la valorizzazione della Sila di alcuni terreni ubicati nel Comune di Bisignano (Cosenza), per una estensione complessiva di ettari 313.04.70, coincidenti con quelli che il Boscarelli stesso, mediante istrumento pubblico in data 18 ottobre 1949, aveva donato ai figli Michele, Rosario e Pasquale, "per sostenere" - come édetto nell'atto - "la condizione dei figliuoli", "in contemplazione del matrimonio, già avvenuto, del figlio Pasquale, e dei matrimoni dei figli Michele e Rosario, che quanto prima avverranno".

    Dei tre figliuoli, il primo, Pasquale, come risulta dall'atto, si era già sposato il 23 gennaio 1947; il secondo, Michele, sposò, ad alcuni mesi di distanza, il 16 settembre 1950; mentre il terzo, Rosario, rimase celibe.

    Il decreto di espropriazione fu emanato dopo che i Boscarelli, padre e figli, avevano inutilmente prodotto opposizione in via amministrativa avverso il piano di esproprio predisposto dall'Opera per la valorizzazione della Sila, sostenendo che il medesimo era in contrasto con l'atto di donazione obnuziale, e nonostante i pareri favorevoli all'accoglimento dell'opposizione stessa espressi dal Ministero dell'agricoltura e foreste e dalla Commissione parlamentare preveduta dall'art. 5 della citata legge 12 maggio 1950, n. 230.

    In data 11 marzo 1952 l'Opera per la Sila si immise nel possesso dei beni così espropriati.

    Respinto dal Pretore di Acri il ricorso con cui i fratelli Boscarelli avevano proposto azione di spoglio contro l'Opera medesima (sentenza 21 giugno 1952, confermata in appello), i predetti proposero ricorso al Consiglio di Stato contro il decreto di espropriazione, ed il Ministero dell'agricoltura e foreste propose, a sua volta, ricorso per regolamento di giurisdizione alle Sezioni unite della Corte di cassazione. Quest'ultima, con sentenza 7 agosto 1953, dichiarò che la cognizione della controversia spettava all'autorità giudiziaria ordinaria.

    Intanto, con atto di citazione notificato il 12 aprile 1953, i fratelli Boscarelli avevano evocato in giudizio l'Opera per la valorizzazione della Sila avanti al Tribunale di Cosenza, deducendo la nullità del decreto di espropriazione, e chiedendo la restituzione dei fondi espropriati, nonché il risarcimento del danno subito a causa della illegittima occupazione. Il Tribunale respinse la domanda con sentenza 20 gennaio 1954, e la Corte di appello di Catanzaro, investita della controversia a seguito del gravame proposto dagli attori, rigettò i primi quattro motivi dell'appello, con i quali era stato dedotto:

    1) che il decreto di esproprio era illegittimo perché pubblicato dopo il 31 dicembre 1951, data di scadenza della legge delegante;

    2) perché esso era stato registrato soltanto nel febbraio 1952;

    3) perché includeva beni oggetto di una valida donazione anteriore;

    4) perché, comunque, la stessa donazione avrebbe potuto considerarsi solo agli effetti della determinazione della quota da espropriare.

    In relazione ad un quinto motivo (concernente l'illegittima inclusione fra i beni da espropriare anche di una superficie boschiva), sospese invece ogni ulteriore decisione all'esito di nuovi incombenti istruttori.

  2. - Avverso tale sentenza proposero ricorso per cassazione i fratelli Boscarelli in data 20 agosto 1955, deducendo cinque mezzi di annullamento, e l'Opera per la Sila, resistendo in giudizio, propose ricorso incidentale affidato a tre mezzi.

    I ricorrenti principali inoltre, con istanza incidentale del 17 giugno 1957, sollevarono le seguenti questioni di illegittimità costituzionale del decreto 24 dicembre 1951, n. 1490, configuranti ciascuna un'ipotesi di eccesso di delega legislativa, e quindi di violazione dell'art. 76 della Costituzione:

    1) il decreto sarebbe viziato per eccesso dei limiti temporali stabiliti dalla legge delegante (art. 5, legge 12 maggio 1950, n. 230), essendo stato pubblicato dopo il 31 dicembre 1951;

    2) sarebbe, inoltre, affetto da altro simile vizio per essere stato registrato alla Corte dei conti dopo il detto termine;

    3) avrebbe ecceduto i limiti di materia fissati dall'art. 27 della legge delegante in relazione alle donazioni valide ad evitare il provvedimento di esproprio, per avere ritenuto tali solo quelle prevedute dall'art. 785 Cod. civ., e cioé fatte "in riguardo di un determinato futuro matrimonio";

    4) avrebbe ecceduto, sotto altro profilo, i limiti fissati dal detto art. 27, il quale si sarebbe riferito soltanto ai soggetti da sottoporre all'espropriazione, e non anche ai beni donati e suscettibili di scorporo.

    Oltre alle dette questioni, la Cassazione ne pose di ufficio una quinta, "indispensabile" - così ritenne - "per l'esame del terzo mezzo di ricorso incidentale": e cioé che il detto decreto presidenziale sarebbe viziato per violazione dell'art. 4 della legge 31 dicembre 1947, n. 1629, avendo ordinato l'espropriazione di terreni boschivi.

    La Cassazione, a Sezioni unite, con ordinanza 22 giugno 1957, dichiarò non manifestamente infondata soltanto la terza questione di legittimità costituzionale, e respinse l'incidente quanto alle altre questioni, ritenendo manifestamente infondate quelle indicate sotto i numeri 1 e 2 ed "assorbita" quella indicata sotto il n. 4. Quanto alla quinta questione, sollevata di ufficio, circa la espropriabilità o meno dei terreni boschivi, non insisté sulla medesima, facendo proprie le osservazioni contenute nella sentenza di questa Corte del 14 maggio 1957, n. 66.

    Nel rimettere gli atti alla Corte costituzionale la Cassazione ha osservato che, anche a voler prescindere dai pareri favorevoli del Ministero di agricoltura e foreste e della Commissione parlamentare, la tesi dei ricorrenti potrebbe trovar conforto nella sentenza 16 maggio 1957, n. 78, della Corte costituzionale ove testualmente si legge: "L'espressione usata nell'art. 20 della legge stralcio (legge 21 ottobre 1950, n. 841), che riproduce quella già adoperata nell'art. 27 della legge Sila, non corrisponde testualmente a quella dell'art. 785 Cod. civ., nella quale si richiede il richiamo ad un determinato futuro matrimonio. Anche senza voler attribuire eccessiva importanza alla differenza dei testi, e pure ammettendo che il legislatore della riforma fondiaria intendesse pur sempre richiamare il concetto della donazione obnuziale, non si può non riconoscere che nelle leggi del 1950 appare temperato notevoli mente il rigore formale dell'art. 785 Cod. civ., il quale avrebbe potuto anche essere in quelle richiamato puramente e semplicemente...

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