Legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. vi, 6 marzo 2010, n. 9074 (ud. 5 febbraio 2010). Pres. Cortese – Est. Colla – P.M. (conf.) – Ric. B.F.

Interruzione di un ufficio o servizio pubblico - Turbamento della regolarità di un ufficio o servizio - Interruzione del servizio elettorale - Integrazione del reato - Fattispecie

L’interruzione delle operazioni elettorali presso i seggi in modo da turbarne la regolarità, integra il delitto di cui all’art. 340 c.p., atteso che il servizio elettorale è servizio pubblico nel senso inteso dalla norma incriminatrice citata. (Fattispecie in cui un candidato alle elezioni comunali ed alcuni suoi sostenitori erano penetrati nel seggio a scrutinio completato, contestando con veemenza al presidente dello stesso l’eccessivo numero di schede di cui aveva deciso l’annullamento, così interrompendo per alcuni minuti, fino all’intervento della forza pubblica, le operazioni di redazione dei verbali elettorali). (Mass. Redaz.) (C.p., art. 340) (1)

(1) Si riportano gli estremi di pubblicazione delle sentenze citate in motivazione: Cass. pen., sez. V, 7 luglio 2009, De Angelis, pubblicata per esteso in Arch. giur. circ. 2010, 133; Cass. pen., sez. VI, 8 gennaio 2009, Atzeni, in questa Rivista 2009, 1468.

@@Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma di quella del Tribunale di Ivrea del 15 aprile 2005, appellata da F. B. e C. D., condannati in primo grado alla pena di mesi tre di reclusione per i reati di cui agli arti. 110, 112 n. 1, 340 c.p. e 92, comma 1, del T.u. n. 570/1960 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali), dichiarava non doversi procedere in ordine a quest’ultimo reato perché estinto per intervenuta prescrizione e, esclusa per il reato di cui all’art. 340 c.p. l’aggravante di cui all’art. 112 n. 1 c.p., rideterminava la pena per quest’ultimo delitto in quella di euro 2.400 per ciascuno degli imputati (in sostituzione di quella di mesi due di reclusione).

La Corte d’appello, andando di avviso conforme al Tribunale in punto di responsabilità, riteneva provata la tesi accusatoria, in base a una serie di prove testimoniali, secondo cui il 26 maggio 2003, durante le attività svolte dalla sezione elettorale n. 4 per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale di (Omissis), ultimate le operazioni di scrutinio delle schede alle ore 18,35, dopo dieci minuti circa, mentre erano in corso le operazioni di ultimazione di compilazione dei verbali e di inserimento delle schede elettorali nelle buste per l’inoltro in Prefettura, si erano introdotte nel seggio elettorale, senza chiedere alcuna autorizzazione al Presidente, una ventina di persone circa, vocianti e con atteggiamento alterato (tra esse il B., candidato sindaco in quella tornata, e il D.). Costoro contestavano ad alta voce l’eccessivo numero di schede scrutinate come nulle, schede che prendevano in mano, chiedendo spiegazioni in modo inurbano e adirato. Ne conseguiva un’interruzione delle operazioni del seggio per circa dieci minuti, anche per il turbamento emotivo cagionato al Presidente e ai componenti del seggio stesso, sino a quando erano intervenuti alcuni carabinieri che, chiesta l’autorizzazione a utilizzare la forza, avevano allontanato gli intrusi. In punto di diritto, la Corte, mentre disattendeva le argomentazioni difensive sulla liceità del comportamento degli imputati in virtù dei principi “della pubblicità e della partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo”, essendo le elezioni comunali disciplinate dal d.p.r. 16 maggio 1960, n. 570, che stabilisce le procedure in ogni particolare, riteneva violate le disposizioni degli artt. 37 e 38 di tale normativa, che consente di entrare nel seggio solo agli elettori ivi iscritti e solo per il tempo strettamente necessario a votare; solo questi ultimi possono assistere anche alle operazioni di scrutinio, ma costoro, peraltro, non possono muoversi a loro piacimento nel compartimento destinato all’ufficio elettorale, esaminare i documenti e tanto meno toccarli (art. 68 d.p.r. citato), né possono interferire in ordine alle decisioni già prese o da prendere, salva la facoltà di fare inserire a verbale osservazioni e reclami, senza alcuna possibilità che possano essere modificati i verbali e riesaminate le schede.

Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il difensore degli imputati che deduce i seguenti motivi. 1) Violazione di legge con riguardo agli artt. 546 lett. e), 605, 597, 192 e 530 c.p.p.: lamenta, con tale motivo, la mancata risposta alle censure svolte con i motivi di appello. 2) Violazione di legge, con riferimento alle stesse norme di cui sopra, e inoltre all’art. 340 c.p., agli artt. 92 d.p.r. n. 570/1960, 47, comma 3, e 43 c.p. Sostiene che potrebbe configurare il reato di cui all’art. 340 c.p. solo quel comportamento che sia “in grado di incidere sulla funzionalità o attività o servizio che l’amministrazione è chiamata a svolgere o a rendere, impedendola o ritardandola in termini tali da non consentire che essa possa corrispondere alle esigenze di pubblico interesse che il soggetto di Amministrazione è chiamato ad assolvere”. Nel caso, invece, si era verificato un modesto ritardo dellePage 380ultime fasi della attività del seggio, dopo che le operazioni elettorali vere e proprie si erano concluse. Richiama i principi sanciti dalla L. n. 241/1990 sulla pubblicità e sulla partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo. Sostiene che l’art. 66 del T.U. elettorale già citato consentirebbe a qualsiasi elettore di essere presente alle operazioni di scrutinio. Anche perché il B., essendo candidato, aveva un interesse qualificato. Mancava comunque l’elemento soggettivo, perché gli imputati, accedendo al seggio, non volevano interrompere le operazioni ma solo far rilevare degli errori.

Il difensore deposita atto denominato “Nuovi motivi” che, in realtà, contiene una illustrazione del già ricordato profilo difensivo secondo cui il comportamento non potrebbe integrare il reato per il principio di pubblicità e partecipazione al procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241/1990, anche alla luce degli artt. 97, 3, 48 e 51 della

Costituzione. Richiama poi la scriminante dell’esercizio di un diritto, quanto meno nella forma putativa.

Osserva la Corte che i ricorsi non meritano accoglimento.

Il primo motivo è inammissibile per mancanza di specificità.

Il secondo motivo non prospetta alcuna violazione di legge sotto il profilo della interpretazione ed estensione dell’ambito di applicazione della norma in ordine alla materialità del reato, giacché per la sua configurazione non rileva solamente il fatto che il servizio sia stato material- mente interrotto per un breve (o lungo) lasso di tempo, in quanto è invece sufficiente che siano turbati la regolarità di un ufficio o servizio pubblico (in tal senso è la giurisprudenza nettamente prevalente: solo per citare le più recenti, v. Cass. pen., sez. V, sentenza n. 27919, ud. del 6 maggio 2009 - dep. 7 luglio 2009, Rv. 244337; Cass. pen., sez. VI, sentenza n. 334, ud. del 2 dicembre 2008 - dep. 8 gennaio 2009, Rv. 242370. E nessun dubbio può sussistere che il servizio elettorale abbia la natura indicata dall’art. 340 c.p. Sul punto, la Corte di merito, anche con riferimento alla conforme sentenza di primo grado, ha motivato in modo congruo e immune da censure dal punto di vista della logica, sulla scorta del materiale probatorio raccolto. Non ha alcun rilievo che le operazioni del seggio siano riprese e ultimate nella serata, dopo l’intervento della forza pubblica che ha fatto sgombrare il seggio, e tanto meno ha importanza che sia normalmente seguita la proclamazione degli eletti. È decisivo rilevare che l’attività del seggio è stata indebitamente, come subito si dirà, disturbata, alterata e impedita, indipendentemente dal carattere essen- ziale o accessorio dei singoli atti delle operazioni elettorali che si svolgevano in quel seggio in quel momento, anche sotto il profilo psicologico dell’inquietudine e agitazione cagionate ai componenti del seggio stesso.

È anche infondata la deduzione secondo la quale le norme della L. n. 241/1990 garantirebbero la pubblicità del procedimento amministrativo: la procedura elettorale nei seggi è minuziosamente disciplinata dalla legge e le forme di pubblicità che il citato testo unico garantisce, sono quelle in esso previste e devono essere esercitate nei modi stabiliti: gli articoli 37 e 38 consentono l’accesso al seggio solo agli elettori iscritti in quel seggio, tra i quali non rientravano gli odierni imputati. Ed è fuorviante il richiamo all’art. 66 del testo unico da parte della difesa. Esso dispone che: “Compiuto lo scrutinio, il presidente interpella gli elettori presenti circa il possesso dei requisiti di eleggibilità da parte dei candidati che hanno riportato il maggior numero dei voti, facendo constare dal verbale i motivi di ineleggibilità, denunziati contro alcuno dei candidati’. Laddove è di ogni evidenza che gli elettori i quali devono essere interpellati non possono essere che quelli che possono accedere al seggio, cioè quelli iscritti nel seggio, senza che dunque rilevi neppure l’interesse del B. che il difensore definisce “qualificato” in quanto candidato.

La questione della mancanza di dolo è del tutto infon- data. “dolo del reato in questione è generico e non richiede alcuna specifica finalità. Esso presuppone la consapevolezza e la volontà di interrompere o turbare l’attività o il servizio, e la sua sussistenza si desume implicitamente da tutto il testo della sentenza impugnata senza necessità che la Corte d’appello ne facesse cenno in modo esplicito.

Per quanto riguarda la questione sollevata dalla difesa nei motivi nuovi sulla applicabilità della causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p. è dubbio che essa possa considerarsi già proposta in nuce...

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